A mettermi in moto è sempre stata la luce del mattino, mai il ragionamento.
I lunghi viaggi mi hanno sempre turbato. Non posso sopportare gli sguardi sprezzanti degli indigeni. Mi vergogno.
A Parigi l'indigeno sono io, fuso nella massa. Faccio parte della scenografia: francese medio, statura media, segni particolari: nessuno. Discreto, efficiente, mi confondo nel gregge dei pedoni.
Bisogna avere il coraggio di piazzarsi in un punto e di restare immobili: e non per qualche minuto, ma per una ora buona, magari anche due. Bisogna trasformarsi in una statua senza piedistallo, ed è buffo, in questi casi, vedere fino a che punto si riesca ad attirare i naufraghi del movimento.
Vedere, a volte, significa costruirsi, con i mezzi
a disposizione, un teatrino e aspettare gli attori.
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Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle fotografie.
In realtà la mia è una battaglia disperata contro l'idea che siamo tutti destinati a scomparire.
Sono deciso a impedire al tempo di scorrere. E' pura follia.